Cooperazione sociale e lavoro per i più fragili: una sfida vera o solo retorica istituzionale?



Durante il recente XIII congresso dell’Associazione generale cooperative italiane (Agci) del Lazio, il Sindaco di Roma Capitale, Roberto Gualtieri, ha rilanciato una promessa tanto ambiziosa quanto problematica: “destinare almeno il 5% degli appalti pubblici alle cooperative di tipo B”, ovvero quelle che si occupano dell’inserimento lavorativo delle categorie svantaggiate.
Un annuncio che, sulla carta, sembra finalmente riportare al centro il valore sociale della cooperazione. Ma è legittimo chiedersi: è davvero realizzabile questo obiettivo, o rischia di rimanere l’ennesimo proclama ben formulato ma scarsamente operativo?
Una lunga stagione di abbandono
Per oltre due decenni, le cooperative sociali di inserimento lavorativo sono state lasciate ai margini dalle politiche pubbliche. Nonostante la loro funzione insostituibile nel promuovere l’occupazione di persone con disabilità, disagio psichico, ex detenuti o tossicodipendenti in percorso di reinserimento, queste realtà hanno dovuto affrontare l’erosione progressiva di ogni supporto istituzionale.
Le gare pubbliche, anziché aprire spazi di inclusione, si sono spesso trasformate in un ostacolo insormontabile: bandi con criteri esclusivamente economici, logiche da massimo ribasso, mancanza di clausole sociali realmente vincolanti. Così, il tanto decantato “mercato protetto” non si è mai realizzato nei fatti, lasciando le cooperative B a lottare in una giungla concorrenziale che non riconosce né il loro valore aggiunto né le loro specificità.
La promessa del 5%: buona intenzione o specchietto per le allodole?
L’obiettivo del 5% degli appalti destinati alle cooperative B rappresenterebbe, se realmente perseguito, una svolta epocale. Ma su quali basi si fonda questa promessa? Quali strumenti amministrativi, vincoli normativi e controlli si intendono mettere in campo affinché questa quota non resti una dichiarazione d’intenti?
Oggi, manca un sistema efficace di monitoraggio e soprattutto una volontà politica coerente a livello locale per rendere strutturale la partecipazione delle cooperative sociali ai bandi pubblici. Troppo spesso, le stesse amministrazioni locali preferiscono rivolgersi a grandi operatori economici privi di qualsiasi missione sociale, in nome di una presunta efficienza.
Co-progettazione: un’idea da coltivare, non da evocare
Gualtieri ha anche parlato di “co-progettazione” e di “intelligenza sociale dei territori”. Concetti affascinanti, certo. Ma che fine hanno fatto i tavoli stabili di concertazione? Dove sono i piani di inclusione lavorativa integrati con i servizi sociali, sanitari e formativi? In quale quartiere di Roma possiamo oggi vedere attiva una vera rete territoriale che metta al centro la cooperazione sociale?
Un investimento economico, ma per fare cosa?
L’annuncio di un investimento tra i 60 e i 90 milioni di euro l’anno lascia spazio a speranza, ma anche a molte domande. Queste risorse saranno davvero accessibili alle cooperative di tipo B o finiranno, come spesso accade, nelle mani di strutture generaliste e multi-servizi, che con la cooperazione sociale condividono solo la forma giuridica?
La cooperazione sociale non ha bisogno di pacche sulle spalle, ma di atti concreti. Dopo anni di marginalità, servono norme vincolanti, risorse dedicate, percorsi di formazione specifici, strumenti per l’accesso al credito, e soprattutto, una pubblica amministrazione che conosca il settore e voglia realmente scommettere su di esso.
Ben venga, dunque, la dichiarazione del Sindaco Gualtieri. Ma sarà credibile solo se nei prossimi mesi si passerà dalle parole ai fatti. E sarà compito del mondo cooperativo vigilare, proporre, ma anche denunciare con forza ogni ulteriore rinvio o disattenzione. Perché di buone intenzioni, purtroppo, la cooperazione sociale non riesce più a sopravvivere.